#VelikaKladuša: il nuovo campo profughi in #BiH per gli Hazara in fuga dai talebani
Quando ho visto un servizio di Andrea Oskari Rossini per EstOvest, rubrica del tg3, sui migranti di etnia Hazara; ho deciso subito di scrivere un articolo perché, quando ho aperto il blog, i campi profughi in BiH sono stati uno dei primi temi che ho trattato. Quando prendo un argomento in mano, poi mi piace seguirne l'evoluzione.
Quando i talebani hanno preso Kabul gli Hazara, una minoranza etnica di origine turco-mongola e di fede sciita, principalmente allevatori di bestiame ma che lavorava anche per la coalizione occidentale, trattata come un sottoproletariato, oggetto di diffusa discriminazione; è dovuta scappare in massa, ma non tutti hanno avuto la fortuna di partire con i ponti aerei per questo si avviano nella Rotta Balcanica.
In una grande radura pianeggiante, costellata di tende e tappeti, uomini, donne e bambini dalle fattezze tipiche della regione del Caucaso conversano, cucinano, lavano, riposano e giocano. Ce ne sono almeno 300 qui, tutti afgani, di diverse etnie, compresi i pashtun. A Velika Kladuša, al confine con la Croazia, c'è un grande accampamento vicino a un piccolo ruscello, utilizzato per lavarsi e cucinare.
In tutto il cantone di Una Sana c'è una grandissima presenza di persone in transito: se ne conoscono almeno 4.000, di cui più della metà fuori dai campi, ormai fanno parte del paesaggio: si accampano nei boschi e nei prati, si fanno il bagno nei fiumi e riposano o camminano ai bordi della strada, con zaini e borse della spesa. La maggior parte di loro sono giovani afgani e pakistani che tentano di fare il game per entrare in uno dei Paesi dell'Europa occidentale; ma ci sono anche famiglie con bambini, come quelle del campo di Kladuša.
Tra coloro che prestano assistenza in questo angolo sperduto della Bosnia ed Erzegovina c'è Alma Mujakić dell'associazione Udruzenje Rahma perché si ricorda della guerra balcanica e il suo Paese ne paga ancora le conseguenze.
La gestione pubblica della presenza di persone in transito è diventata un problema per le autorità bosniache. Di recente, la frequenza degli sgomberi degli insediamenti informali è aumentata. Anche i campi con status formale, come il campo tutto maschile di Miral, sempre a Velika Kladuša, stanno per chiudere. La ragione? Si trovano vicino ai centri abitati. Per lo stesso motivo, nel settembre 2020, a Bihac, capoluogo della regione, le autorità cantonali hanno deciso di chiudere il campo di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati a Bira, periferia della città, e trasferire le persone a Lipa.
Dopo l'incendio del dicembre 2020 che ha portato la catastrofe umanitaria in atto da anni alle porte dell'UE davanti agli occhi inorriditi dei cittadini europei, i migranti a Lipa vivono in tende da campo fornite dalla Croce Rossa bosniaca; gli unici bagni sono i contenitori sanitari riservati a chi ha problemi dermatologici, gestiti dall'associazione locale SOS Bihac, mentre docce e lavandini per il lavaggio sono stati forniti dalla ONG italiana Ipsia, che sta organizzando anche attività comuni all'interno del campo, le condizioni di vita sono disumane.
Una nuova Lipa è in costruzione: con qualche ritardo rispetto alle scadenze previste, sarà presto operativa. L'Unione Europea ha stanziato i soldi per un campo con una capienza maggiore, da 1.000 a 1.500, che avrà acqua ed elettricità. La sua gestione passerà dall'OIM, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per le Migrazioni; la quale ha criticato la vecchia gestione dell'Sfa, il servizio per gli affari esteri bosniaco del ministero della Sicurezza.
Le persone in transito preferiscono accamparsi in un prato, o occupare una casa abbandonata: sebbene le condizioni materiali siano più difficili, e talvolta terribili, hanno più libertà di movimento e autonomia. In alcuni casi, questi accampamenti informali appaiono più dignitosi di quelli firmali perché hanno tende robuste donate da qualche ONG, cucine comunitarie, teloni, piccoli generatori di energia solare; a meno che non venga la polizia e distrugga tutto, costringendoli a ricominciare tutto da capo.
Alla luce di tutto ciò, il nuovo campo di Lipa è solo un cerotto, e per di più misero; ma l'intenzione delle autorità bosniache è di farne il luogo di accoglienza per chiunque arrivi in Bosnia-Erzegovina attraverso la rotta balcanica, assecondando le richieste dell'Unione Europea e nascondendo il più possibile i migranti agli occhi dei propri cittadini perché vederli fa paura; invece sono solo persone in cerca di un futuro migliore.
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